TTIP, alcune domande per capire meglio e fare il punto
di Cinzia di Fenza
Intervista a Eleonora Forenza, europarlamentare
A che punto sono i negoziati e su quali contenuti si sta trattando?
Sebbene siano ancora in corso i round negoziali (tra qualche giorno vi è un nuovo appuntamento), anche grazie alla pressione della mobilitazione della campagna STOP-TTIP, l’iter del TTIP pare essere rallentato. Non si registrano novità di rilievo su molte e importanti questioni, a partire dal capitolo sulla riforma della clausola di protezione degli investimenti ISDS (Investment-State Dispute Settlement) e su da quello sull’apertura degli appalti, sui controlli di conformità (in particolare dopo il dieselgate) e sulla protezione del settore agroalimentare. Inoltre, sul fronte degli Stati Uniti, la campagna per le presidenziali sta occupando la scena e nessuno dei candidati sembra particolarmente affezionato alle sorti del TTIP. Per quanto riguarda il Parlamento europeo, dopo la risoluzione votata lo scorso luglio, siamo impegnati nel cercare di fare pressione affinché la Commissione Europea consideri il TTIP un accordo “misto” , ossia che per entrare in vigore necessita di essere ratificato non solo a livello di UE ma anche dai Parlamenti dei singoli Stati membri dell’Unione. Continuiamo a pensare che uno dei principali pericoli del TTIP sia l’assenza di una discussione trasparente e democratica.
Come si sono “schierati” i nostri europarlamentari nelle rispettive formazioni politiche?
La maggior parte delle deputate e dei deputati italiani sembrano schierati –alquanto acriticamente sulle posizioni del governo Renzi, cioè a totale supporto del TTIP e di Confindustria, grande sponsor italiano del trattato. Le multinazionali useranno il TTIP, se approvato, come grimaldello per scardinare quelle che vengono chiamate barriere non tariffarie e che in realtà sono le normative e gli standard a difesa del lavoro e dell’ambiente. Il cuore del TTIP è infatti anteporre la tutela dei profitto e degli investimenti agli standard sociali e ambientali. Il sostegno del governo e degli europarlamentari italiani che compongono la grande coalizione (PD- S&D e gli aderenti al PPE, principalmente) risulta ulteriormente incomprensibile se si pensa a come l’agroalimentare italiano sarà penalizzato dall’arrivo di prodotti delle multinazionali dell’agribusiness e ai pericoli che possono derivarne per la salute dall’immissione sul mercato europeo di prodotti che vengono commercializzati con filiere di controllo molto meno stringenti. Basti guardare alla differenza sui tassi di intossicazione alimentare tra UE E USA. La totale mancanza di un atteggiamento critico ed oggettivo verso il TTIP è stata chiarissima lo scorso luglio durante il dibattito in aula sulla risoluzione sul TTIP. Purtroppo, dopo il compromesso al ribasso tra popolari e socialisti dello scorso luglio, la maggioranza non sembra aver cambiato indirizzo. Dunque, a nessuno dei rilievi e delle preoccupazioni espresse dai cittadini in manifestazioni come quella dello scorso novembre a Berlino è stata data risposta. La posizione del gruppo di cui faccio parte al Parlamento Europeo, la GUE/NGL, e della delegazione dell’Altra Europa con Tsipras è netta: siamo contrari ad un accordo dai potenziali effetti catastrofici sulla salute, sulla produzione agroalimentare, sugli standard ambientali e sociali, sui diritti umani e la democrazia.
In che modo il TTIP, se passasse, metterebbe a rischio , ad esempio, la sicurezza alimentare e la salute? Qualche esempio?
Il TTIP non è un trattato internazionale come gli altri, non ha come obiettivo la riduzione dei dazi, che sono già quasi nulli per più del 90% dei prodotti: il vero obiettivo sono le normative ambientali e sociali, considerate troppo spesso come impedimenti tecnici – barriere non tariffarie – al libero commercio. Questo mette in discussione tutti i nostri standard e le normative su temi primari come la sicurezza dei cibi, dell’ambiente, dei luoghi di lavoro, della chimica, gli stessi contratti di lavoro, rispetto ai quali Europa e Stati Uniti hanno sistemi normativi molto diversi. Il TTIP viene presentato come una delle soluzioni più efficaci per uscire dalla crisi, perché permetterebbe alle imprese europee di fare più affari negli Stati Uniti. Ma questo non è vero. Per fare un esempio che ci coinvolge direttamente, la legislazione americana permette l’utilizzo di ormoni della crescita vietati in Europa: la cooperazione regolatoria e l’allentamento dei controlli e delle normative rischia di permettere l’importazione di carne agli ormoni. Proprio le lobby agroalimentari sono state quelle che hanno operato più pressioni per la Commissione Europea per includere il Codex Alimentarius (un insieme di normative elaborate dalla Codex Alimentarius Commission, una Commissione istituita dalla FAO e dall’Organizzazione mondiale della sanità) come riferimento unico per gli standard agroalimentari nel TTIP, nonostante sia considerato meno stringente delle normative sviluppate dall’EFSA, l’Autorità europea sulla sicurezza alimentare. In conclusione, se passasse il TTIP avremmo enormi conseguenze negative sui cittadini “consumatori”, sui piccoli produttori e agricoltori locali e in generale sull’ambiente e la salute in Europa. Senza dimenticare la gravissima perdita di sovranità nazionale per le cittadine e i cittadini e i popoli europei.
Intervista a Marco Bersani, campagna Stop TTIP Italia
La Commissione europea e i sostenitori di questo Trattato parlano dei vantaggi che la sua approvazione porterebbe in termini di creazione di posti di lavoro e rilancio della crescita in tutta l’UE. Come risponde la campagna STOP TTIP? E soprattutto ci interessa capire di quale “crescita” si parla, se quello che si intende abbattere, in realtà, sono le barriere normative, cioè le tutele ambientali e sociali?
In realtà, gli stessi studi commissionati dalla Commissione europea dicono che, nello scenario più favorevole, il TTIP comporterebbe un aumento del PIL del 0,48% a partire dal 2027! E anche per quanto riguarda l’occupazione, non si prevedono grandi spostamenti sulle attuali percentuali. La verità è che millantano di una crescita che ormai è solo dei mercati finanziari, per assecondare i quali si vogliono abbattere tutte le tutele del lavoro, sociali e ambientali. Occorre invertire la rotta e iniziare a contrapporre al pareggio di bilancio finanziario il ben più necessario pareggio di bilancio sociale e ambientale.
Nell’informazione che circola ad oggi sul TTIP si evidenzia che i servizi pubblici siano fuori dal tavolo dei negoziati, che non siano in discussione. E’ proprio così?
L’affermazione che i servizi pubblici siano fuori dal negoziato TTIP è formalmente vera. Il trucco sta nella definizione di “servizio pubblico” adottata. Per il TTIP non sono servizi pubblici quelli che possono essere erogati da soggetti diversi rispetto all’autorità pubblica e non sono servizi pubblici quelli per la cui erogazione è previsto un corrispettivo economico, anche una tantum. Da queste definizioni risulta evidente come il TTIP non consideri servizi pubblici la scuola, la sanità e tutti i servizi pubblici locali, a partire dall’acqua. Questi sono dunque inseriti nei negoziati. Ma quali sono dunque i servizi pubblici, che, come tali sono esclusi dal negoziato? L’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico, la Difesa e la definizione delle rotte aeree internazionali (!!).
Qual è l’atteggiamento dei negoziatori nei confronti della pressione della società civile e qual’è l’impatto che questa sta avendo e potrà avere?
Il TTIP, per essere portato a buon fine, necessitava di due requisiti fondamentali: la segretezza e i tempi ristretti per giungere ad un accordo. Requisiti che, grazie all’azione della società civile e dei movimenti, sono entrambi saltati; oggi si sa che il TTIP esiste e se ne conoscono i pericoli, mentre i tempi del negoziato si sono dilatati, aprendo anche contraddizioni interne tra gli stessi sostenitori. Di fatto, la pressione dal basso spaventa i negoziatori, anche se, ad oggi, non si prevedono retromarce sul trattato, essendo fortissimi gli interessi che ne spingono l’approvazione. Ma la partita è più che aperta e l’allargamento della mobilitazione sociale può diventare decisivo.